martedì, gennaio 24, 2006

Primo racconto: cuoreocchifiore

Avevo detto che lo avrei fatto, percui ecco qui il mio primo raccontino…Purtroppo non posso assicurare assiduità, percui ‘sto blog non diventerà un blog “letterario”…O forse si…
Boh, staremo a vedere! Intanto buona lettura!

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Il pallone rimbalzò sul lampione e cadde dentro il cortile della casa del vecchio. Marco mica ci voleva andare, dentro quella casa. Quello rimaneva tutto il giorno davanti alla finestra del piano di sotto, nascosto solo da una tenda, a guardare loro che giocavano a calcio fuori da scuola. Gli altri lo avevano sfidato ad entrare già altre volte, ma poi avevano tanta paura quanta lui. Questa volta però qualcuno ci doveva andare…
Gli altri avevano già iniziato a lamentarsi per il pallone. Nessuno sembrava avere intenzione di muoversi. -Qui o mi muovo io o non si gioca più- pensò. Carlone si era appoggiato al muretto della scuola, tutto rosso e sudato. Nino e Robert facevano finta di essere impegnati a discutere uno schema. Poi c’erano le ragazze. Lo guardavano con una faccia curiosa, come per vedere se lo stava per fare davvero…
-Certo che lo faccio- si disse. Gonfiò il petto e si mosse. Già dal cancelletto tutto stinto quella casa faceva paura. Sapeva di vecchio… Si domandava se sarebbe riuscito semplicemente a scavalcare, riprendere il pallone e scappare via. Ma il pallone era proprio davanti agli scalini che portavano all’ingresso, e quello era lì alla finestra… E se usciva e gli diceva qualcosa? E se aveva un fucile in casa??
Alla fine pensò che suonare era la migliore. Al massimo non gli avrebbe aperto, o gli avrebbe gridato di andarsene. E il pallone era perso. Si ma quello poteva avere un fucile. Come vuoi che non abbia un fucile uno che porta quegli occhiali neri tutto il giorno? Ha la faccia da killer.
-Nono, suono- E suonò. Sentì il ronzio del campanello dentro la casa. Poi il vecchio si mosse dalla finestra. Doveva essere in sedia a rotelle, perché non si era alzato in piedi, e sembrava che lievitasse, per spostarsi.
Ci fu un clic e il cancello si aprì. Pensò che forse era ancora in tempo per scappare, o per correre dentro, prendere il pallone e uscire. Anzi si, avrebbe fatto così. Adesso, adesso era il momento…
Proprio mentre prendeva lo scatto e superava il cancello, la porta d’ingresso si aprì. Marco piantò i piedi a terra rischiando di cadere in avanti, mentre lo spavento gli tirò fuori dalla bocca un suono ridicolo, col risucchio dell’aria.
Effettivamente era in sedia a rotelle, il vecchio. Lo fissava dalla porta, sempre con quegli occhiali scuri addosso. “Ecco ecco adesso lo tira fuori, il fucile...oddio oddio cosa faccio??” la paura gli aveva inchiodato le gambe.
-Sei venuto per il pallone?- l’uomo si rivolse a lui. Non aveva una voce cattiva. Sembrava solo… solo vecchio.
-S-si…- Faceva un po’ fatica a rispondere. Un po’ per la paura, un po’ perché quella voce lo aveva sorpreso.
-Prendilo pure. Dovrebbe essere qui davanti, se non sbaglio-
-Si, è davanti alle scale. Ma lei non lo vede?- La bocca gli aveva funzionato da sola, lui non ci voleva parlare. Però, quello non sembrava davvero cattivo…
- Ho smesso di vedere queste cose tanto tempo fa…
Marco si avvicinò ai gradini, e raccolse il pallone. Non aveva capito quella frase. Ma comunque ora era fatta, se ne poteva anche andare. Anche se, gli restava il dubbio di cosa volesse dire il vecchio.
-Oh…e come ha fatto? Cosa vede ancora?
-Non molto… Ma non l’ho deciso io, di non vedere…
Forse aveva capito…era cieco! Un cieco in sedia a rotelle… D’improvviso si pentì di averlo creduto un assassino e di aver riso di lui con gli altri, e di aver progettato di fargli degli scherzi. Non se lo meritava, pensò.
-Lei è cieco…
-Già…
-E allora perché se ne sta tutto il giorno davanti alla finestra a fare finta di guardare fuori?
-Sto ad ascoltare i vostri rumori. Mi fanno compagnia. – Il vecchio spostò leggermente la testa da un lato. –Anzi, credo che proprio ora le tue amiche stiano sorridendo verso di te…-
Marco si voltò verso i suoi amici. Carlone, Robert e Nino erano fissi come baccalà, a bocca spalancata a guardarlo. Haha! Stavano crepando d’invidia… Poi c’erano Maria e Bea, che lo guardavano sorridendo. Maria aveva le guance tutte rosse. Sembrava Carlone dopo che ha corso cinque minuti.
-Come fa a saperlo?- chiese incuriosito.
-Oh, si capiscono molte cose anche solo con le orecchie…
-Si ma…- Marco non capiva, non gli sembrava di aver sentito nessun rumore di risata…
-Quella ragazza lì... Maria si chiama, giusto? È lei che ti ha sorriso…
Come cavolo faceva a sapere tutte queste cose? Certo, rimanendo tutto il tempo lì ad ascoltare, magari i nomi li aveva capiti…
-È vero…
-Sembra carina. Ride sempre… Deve avere un bel sorriso…
Marco era in imbarazzo, non gli piacevano questi discorsi qui… E poi Maria non aveva un bel sorriso.
-No. Ha i dentoni da coniglio. E poi diventa sempre rossa.
Il vecchio fece una risatina come se sapesse già che avrebbe detto così. –Non è una brutta cosa…E ti sei mai chiesto perché?-
Ci pensò. Non se l’era mai chiesto davvero. A lui capitava quando c’era sua cugina grande a casa, o quando gli facevano un complimento. Anche quando raccontava una balla a sua mamma, però… Forse Maria raccontava sempre balle… Si girò di nuovo a guardarla. Era ancora lì che lo fissava, con quelle guanciotte, e gli occhi che brillavano un sacco, anche da distante.
A guardare meglio non erano mica proprio brutti quei denti… E le guance non erano proprio come quelle di Carlone. Erano più come due mele di quelle che comprava la mamma per fare la torta. Erano più carine…
Si pentì subito di aver fatto quel pensiero, che Maria non gli piaceva, no no, certo che no.
-Cosa succede…? Ti ho fatto pensare?- Il vecchio sembrava quasi divertito dall’imbarazzo di Marco. Perché di sicuro lo aveva capito, che era in imbarazzo. Sembrava quasi un vecchio mago.
-Si… No… Boh…!- Adesso lo aveva messo in confusione, non capiva più quello che pensava, e sentiva tutta la testa gonfia. -Ma lei come fa a sapere queste cose? Io le risate mica le ho sentite, e poi sapeva anche che stavo pensando…Ma come fa? È un mago lei?
-No, non sono un mago… Te l’ho detto… Prova a chiudere gli occhi ed ascoltare…
Marco li chiuse, e tese le orecchie. Non sentiva nulla, c’era tutto un fischio dalla testa gonfia, e dietro i bambini più piccoli che giocavano, e poi…
Poi si accorse che c’era come una vocina che sorrideva, che sembrava quasi che fosse il suo cuore che stava sorridendo, per un attimo si sentiva anche lui che aveva voglia di sorridere, e vedeva tutte meline rosse davanti agli occhi chiusi, e sentiva il profumo dei capelli di Maria che sapevano di camomilla filtrofiore bonomelli che prendeva da più piccolo. Poi riaprì gli occhi, e si accorse che ce l’aveva davvero il sorriso! E poi capì che l’aveva sentita davvero anche lui la risatina, e che non era più tanto preoccupato, anzi era contento di avere sentito una cosa così bella, come di spruzzi di acqua fresca sul naso d’estate. Gli sembrava davvero che il vecchio gli aveva fatto una magia…
-Allora, l’hai sentita?
-Si…
-E sei più contento ora?
-Si!
-È quello che succede, quando non guardi con gli occhi…
-E con cosa si guarda, così?
-Lo capirai un giorno…Ora è meglio se vai, i tuoi amici mi sa che si stanno preoccupando.
È vero, si era quasi dimenticato della partita. Chissà quanto era rimasto lì… Fece per uscire dal cancello, ma si trattenne e si rigirò verso il vecchio mago.
-Grazie- gli disse, -Un giorno posso passare a trovarla?
Il vecchio abbozzò un sorriso –Certo, se te lo permettono-
Marco corse via, fuori dal cancello e di nuovo in strada. Gli altri gli stavano andando incontro, e Carlone aveva già iniziato a fargli domande con quella voce grassa che sembrava arrivargli dal mento ciccione. Solo le due bambine non si erano mosse da dov’erano… Le guardò di sfuggita, guardò i capelli di Maria, e i dentoni da coniglio, che in effetti erano carini come il coniglietto del suo vicino. Richiuse gli occhi per un secondo, e sentì che c’era ancora, lì in fondo al petto, quella risatina. Allora capì che non se ne sarebbe andata in fretta, e gli andava bene così. E forse quella sera avrebbe chiesto a sua mamma una tazza di camomilla.

E poi, mentre riappoggiava il pallone per terra, pensò che forse le avrebbe chiesto di accompagnarla a casa.